Un viaggio nel gusto: l’Enoteca Gastronomia di Gino Corapi a Soverato

L’articoletto fa parte delle mie pagine Flaneur: ci si trovano alcuni dei libri che ho letto, dei dischi che ho amato, dei cibi, dei vini, dei luoghi che mi piacciono: nessuno mi paga né mi regala nulla per farlo, è solo qualcosa che, come dice il marchietto mutuato dalla dedica della vecchia e oramai da tempo venduta casa di famiglia, ho scelto per me e per i miei amici preferiti.


Un viaggio nel gusto: l’Enoteca Gastronomia di Gino Corapi a Soverato

L’Enoteca Gastronomia di Gino Corapi, sta in Via S. Giovanni Bosco, 36 a Soverato (CZ), ed è molto più di un semplice negozio. È un luogo dove la tradizione familiare si intreccia con la passione per il buon cibo e il vino, creando un’esperienza unica per i palati più esigenti. Per me un luogo dell’anima.
Fin da bambino, ricordo con affetto le mie visite al nonno dell’attuale generazione, quando andavamo a pesca di notte con mio padre e gli amici Passafaro. Quello era il posto dove ci rifornivamo di monumentali panini con capocollo, provola e melanzane sottolio, capaci di sostenere una flotta, non solo noi quattro sulla Lazzarella. Di quel negozio ricordo l’accoglienza calorosa, la storia narrata di tutto quello che metteva nelle pitte, il pane a ciambella perfetto per i panini (e per ospitare sua maestà il Morsello, ma questa è un’altra storia, come direbbe Kipling) raccontava la profonda conoscenza del prodotto e la cura nel selezionare solo le eccellenze. Oggi, la stessa atmosfera e la medesima dedizione si respirano nell’attività gestita dai suoi eredi.

L’Enoteca è un vero e proprio scrigno del gusto. La proposta enogastronomica si distingue per la sua qualità impeccabile, frutto di una selezione attenta e scrupolosa. Vino pregiato, prodotti tipici locali e specialità gourmet provenienti da ogni angolo d’Italia sono capaci di offrire grandi soddisfazioni al mio palato, direi una certa gioia, perfino.

La cortesia e la passione che contraddistinguono il team del negozio sono il vero punto di forza.

Ogni cliente viene accolto come un amico, ricevendo consigli personalizzati e informazioni dettagliate su ogni prodotto, dalla storia del vino alla provenienza del formaggio e dei fantastici salumi.

L’Enoteca Gastronomia di Gino Corapi non è solo un punto di riferimento per gli amanti del buon cibo, ma un vero e proprio luogo di incontro, dove la tradizione si sposa con l’innovazione, la qualità con la passione e l’amore per il gusto con la cura per il cliente, un posto dove scoprire nuove eccellenze enogastronomiche e lasciarsi guidare dalla passione di chi ama il proprio lavoro.

Per questo ho scelto l’Enoteca Gastronomia Gino Corapi per me e per i miei amici più cari:

Guido Silipo, sibi et selectis amicis, elexit.

Marco Schiavo, maestro della grappa

L’articoletto fa parte delle mie pagine Flaneur: ci si trovano alcuni dei libri che ho letto, dei dischi che ho amato, dei cibi, dei vini, dei luoghi che mi piacciono: nessuno mi paga né mi regala nulla per farlo, è solo qualcosa che, come dice il marchietto mutuato dalla dedica della vecchia e oramai da tempo venduta casa di famiglia, ho scelto per me e per i miei amici preferiti.


Un’altra

eccellenza con cui ho la fortuna di essere entrato in contatto: la Grappa Schiavo.

Da quando la grappa è diventata “nobile” e amata anche all’estero, sono migliaia le distillerie che si sono cimentate, talvolta con risultati anche interessanti, anche senza sapienze pregresse.

La Grappa Schiavo è questione diversa, parliamo di una famiglia che ha cominciato a produrre grappa dal 1669 a Costabissara (prima provincia, oggi praticamente un sobborgo di Vicenza), trasferendo saperi e esperienze di padre in figlio, da allora.

Può darsi che abbiate visto la distilleria, perché è stata utilizzata come location in una fiction della RAI intitolata “di

la distilleria Schiavo
Padre in Figlia”, qualche anno fa: un edificio pieno di fascino, credo fra i più antichi della Costa (come chiamiamo Costabissara noi abituée).

La prima grappa Schiavo che ho assaggiato, nel 1984, era popolare, una roba da bere al bar o da usare per correggere il caffè, ma già pronta per giocare in un campionato diverso: profumata, di gusto raffinato, rotonda, prima ancora di assumere una identità e di chiamarsi “la Quaranta” era un prodotto fantastico.

La produceva un cugino di mia moglie, Giuseppe “Beppe” Schiavo, una delle persone più gentili che abbia mai conosciuto, e la assaggiai per la prima volta in coda a un meraviglioso pasto a base di Bigoli con l‘Anatra che aveva attentato alla mia giovanile corporatura da atleta nel ristorante di Romeo Benetti, che credo fosse cugino, oltre che omonimo, del terribilissimo terzino, ma caratterizzato da grande bonomia sin dall’aspetto e titolare di una locanda meta dei gourmet più avveduti, oggi gestita dalla moglie Giannina e dai figli Fabio e Federico.

Quell’assaggio è stato l’inizio di un amore che ancora oggi non smette.

Nel frattempo Beppe ci ha purtroppo improvvisamente lasciati e il suo posto alla guida dell’azienda e della distilleria è stato preso dall’allora giovanissimo figlio Marco.

La Grappa Schiavo è di una famiglia che ha cominciato a produrne dal 1669 a Costabissara (Vi), passando di padre in figlio, da allora.

Marco, che è dotato di non comune genio imprenditoriale unito a un contagioso entusiasmo e a una simpatia clamorosa, ha inventato una quantità di grappe diverse, monovitigno, blended, ricette originali e tradizioni di famiglia rivisitate (impossibile non citare la sua Òniro, splendido fine cena che i miei ospiti hanno conosciuto e amato con grande trasporto, ma anche El Cào, la Old’S, laProibita…), liquori da cocktail, almeno un bitter straordinario (Gagliardo, poi Gajardo) e tanto altro.

Produce anche deliziosi prosecchi, nella zona di Valdobbiadene: un brut già molto buono e un extra dry di quelli che, se ci fai un aperitivo, ne bevi un secchio senza rendertene conto, da quanto è delizioso.

Per questo ho scelto la Grappa Schiavo per me e per i miei amici più cari:

Guido Silipo, sibi et selectis amicis, elexit.

Cirò e Soppressata, la mia madelaine

L’articoletto fa parte delle mie pagine Flaneur: ci si trovano alcuni dei libri che ho letto, dei dischi che ho amato, dei cibi, dei vini, dei luoghi che mi piacciono: nessuno mi paga né mi regala nulla per farlo, è solo qualcosa che, come dice il marchietto mutuato dalla dedica della vecchia e oramai da tempo venduta casa di famiglia, ho scelto per me e per i miei amici preferiti.


La mia famiglia, dalla parte della nonna paterna, ha alle spalle qualche secolo di produzione di vino e olio, in Calabria, esattamente a Davoli (CZ).

Guido Silipo, sibi et selectis amicis, elexit.

In realtà abbiamo smesso negli anni 90 del secolo scorso di farne, perché nessuno di noi poteva occuparsene e perché “il segreto” per cui mia nonna si chiudeva a discutere col mosto nel palmento è purtroppo andato via con lei.

Mi è rimasta nelle papille la memoria di quel gaglioppo vinificato in purezza, rosé perché mia nonna non amava lasciare troppo le vinacce a macerare, che forse era buonissimo davvero e forse no, ma che nella mia mente scatena ricordi e sensazioni di delizie e meraviglie senza pari di quando, ragazzino, mi lasciavano assaggiare appena un dito di quel nettare forte e dal sapore così caldo.

E sono pronto per un salto indietro nella memoria da far impallidire Proust (d’altra parte una madeleine, per quanto buona, non potrebbe stare al passo neanche per un momento), se a questo si associa il ricordo del sapore della

soppressate di Gualtiero Procopio
soppressata “di casa”, quella che ci portavano gli amatissimi amici Maria e Pasquale, quella di Mosè e Marantona (credo Maria Antonia, ma non l’ho mai veramente saputo) e della loro meravigliosa famiglia.

Da quella famiglia ancora mi capita di assaggiarne di formidabili, realizzate dalla figlia Franca, dal nipote Pino, mio compagno di giochi da sempre, dagli altri discendenti, fra cui molti formidabili cuochi e ristoratori.

La soppressata è la Rolls-Royce dei salumi nostrani: nel passato, a causa delle temperature poco adatte, non era possibile ottenere prosciutti ben stagionati, così le parti più nobili della coscia del maiale erano utilizzate per creare quell’impasto delizioso, speziato e piccante, a pezzi tagliati al coltello, che tutti conoscete.

Fra le soppressate acquistabili, il maestro assoluto dell’arte del loro confezionamento è un altro caro amico che conosco dall’infanzia: Gualtiero Procopio.

Lui e il fratello Mimmo, oggi purtroppo scomparso, hanno iniziato giovanissimi come garzoni di bottega, imparando davvero tutto ciò che si deve sapere sulle carni e il loro trattamento. Poi Mimmo aprì la macelleria a Davoli Marina e Gualtiero a Davoli Superiore (dove era anche un valente musicista nella banda cittadina) ambedue servendo carni perfettamente tagliate di allevatori locali e creando delizie inarrivabili nel campo della salumeria (Macelleria di Gualtiero Procopio).

La mia sorpresa è stata grande quando, insieme a una meravigliosa soppressata di Gualtiero ho stappato una bottiglia del Cirò Rosato prodotto dai fratelli Cerminara, fra i più interessanti esponenti della “Cirò Revolution“, per l’appunto a Cirò in provincia di Crotone (Cerminara Vini): devo ammettere una certa


commozione nel ritrovarmi ragazzino con quei sapori e con quelle sensazioni.

La differenza, rispetto al vino della nonna (che comunque credo fosse buono per davvero, anche senza l’amore a far velo) è che stavolta lo so, le mie papille sono più mature ed “educate” a dovere: quel vino è proprio buono e con quella soppressata mi rende felicissimo.

Per questo ho scelto la soppressata di Gualtiero e i vini dei Cerminara per me e per i miei amici più cari:

Guido Silipo, sibi et selectis amicis, elexit.